Il tempo si infrange sul marmo dell uscio, la luce non entra
a spostare l incanto.
Gli spigoli gentili nel velluto di polveri dividono lo
spazio con pennelli e frammenti di specchio al mercurio.
Chiuderà.
La crisi.
Ah, che peccato, anche loro?
Arrivederci.
La penombra accarezza il suo incarnato chiaro, le dita si muovono
precise, disegnano la danza di chi conosce il mestiere scelto da tanto nel cuore.
Righello, misura. Verifica, soppesa. Controlla, si acciglia.
Controlla ancora. Sorride. Taglia. Prova. Sorride ancora. Chiodini e martello.
Racconta di progetti che potranno avvenire. Che già fanno
paura. Che sono già qui.
Di foreste di mille colori che stanno lontano, nel Maine.
Si portano via il mio
posto dei sogni, degli oggetti dai mille ricordi, di pomeriggi di racconti nell’ombrosa
via che odora dell’umido mare di qui.
Fatto. Eccola. Finito.
Due fogli di giornale, un pezzo di cartone, otto strisce di
nastro adesivo color del corallo.
Con cura la confeziona. Con la giusta pressione la carta stampata
si arrende alle forme del suo nuovo contenuto, salda nella simmetria di una cicatrice
color del corallo lungo i suoi lati.
In bocca al lupo. Ciao.
Porto via con me sotto braccio il pacchetto quadrato, dentro
un curioso ritratto dipinto di una figura bambina con l’espressione di chi
vorrebbe essere altrove. Fuori c’è il sole, il viavai della fretta, la voce della
vita che non sta mai ferma.
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