mercoledì 14 dicembre 2011

archivio


alex & lupis in fabula
giovedì 8 novembre 2007 23.18
C’era una sorpresa in serbo nel pomeriggio di martedì.
Una promessa grata spifferata in risposta ad un invito in tempo non sospetto, che scivolando inesorabile lo scorrere delle pagine si  ripresentava in calendario, e nel punto di domanda degli occhi del secondo invitato.
Che si fa, andiamo allora stasera?
Ma non ho niente da mettermi, mi sta tutto stretto!
Ma fregatene, dai, ci vediamo alle seiemmezza e partiamo.
E così ci si metteva in strada alla volta di milano, con una scarna sacca di pigiamino, dentifricio e cambio per l’indomani, fasciata di nero necessario, santo il signor Dupont, e tacco quel tanto che basta per non arrendersi.
E bene assai si fece.
Una sosta per cena a luce di neon all’autogrill, e la scoperta di una ricompensa sfacciatamente lussuosa nascosta in viuzza meneghina trovata al secondo tentativo per noi fratelli di riviera, pirati e bottegai.
Presentazione del Calendario 2008 Campari.
Albergo scandalosamente fico, dal design modernissimo e, giochi di tende e illuminazione malandrine, trionfo di saponette sciampetti e ciabattine in tinta con l’etichetta arancione della freschissima bottiglia che ci siamo sentiti fosse una buona idea liberare dal minibar per festeggiare il nostro arrivo a destino squittendo come topini impazziti.
Rinfrancati e riderecci abbiamo quindi raggiunto il resto della comitiva per goderci il resto della serata e il favoloso evento.
Scatole e piume e tulle e zampilli e lampi di luce e  sfondi rosseggianti, nel mezzo serpeggiano sbalorditi e snob, di chi torna bambino e chi si sente un grande.
Ogni scatola una fiaba, maliziosamente riedita e manipolata, una trappola per il gusto degli adulti, e accanto smilzi tavoli per la gioia a tema del palato.
Il mio compagno bevve e io masticai, per tutta la serata fino alla mezzanotte e un quarto quando la divina Eva (Mendez) in carne ed ossa, circondata dalle gigantografie delle sue foto per le grazie del calendario fermarono le bocche dei presenti in un ammirato silenzio di una sensuale Bella Addormentata, un Pollicino, una Piccola Fiammiferaia, un Aladino, una Sirenetta, un Pinocchio o pure un Cappuccetto Rosso.
Sfumato lo spettacolo si restò a fare onore alla festa fino a che i nostri stomaci e piedi non chiesero pietà trascinandoci quindi col nostro bottino di cartellette scure sottobraccio verso il  secondo paradiso fatato per la notte, la nostra scintillante cameretta poco lontano, a combattere con l’emozione di quel che avavamo visto e vissuto e il molesto condizionatore (domato infine).


faide femminili e futura faina
martedì 13 novembre 2007 23.32
La vendetta filiale finalmente ha colpito.
E senza premeditazione alcuna: dipingendo casualmente sbigottimento e competizione sul volto della futura nonnetta british (mia madre), alla notizia che la sua alter ego d’altaquota è solo da poco anch’essa edotta, ma assai felice e desiderosa di conoscere il nome prescelto poiché già alacremente in operoso subbuglio di ricami celesti e corredino frufrù.
Averlo saputo prima quale prodigioso effetto prosciugatore avrebbe sortito il gentile interessamento della signora piemontese nei miei confronti sulla pioggia di critiche e ritornelli disfattisti che mi flagella da mesi, improvvisamente  sostituito da affettuosi consigli e tutine gialle (nascoste da chissà quanto)  non mi sarei presa la briga di spremermi diplomaticamente fegato e cervello per trovare un accordo soddisfacente col mio giovane teneramente cocciuto papà.
Anche Pantaleo, Oronzio o Gioberto mi sarebbero andati benissimo alla prima, pur di guadagnare settimane di pace.
Invece così sarà un piccolo Edoardo.
E pure scandalosamente elegante ancora prima di metter il naso fuori.


palinsesto pernicioso
lunedì 19 novembre 2007 18.32
lo sapevo che dovevo sorbirmi la figliola in crinoline del settecento e dialoghi dell'età della pietra ieri sera, e che siccome non siamo a milano far finta che tanto non mi importi che si stiano infilando anche sotto il nostro piccolo parco di quartiere per cavarci un altro posteggio.
e invece no.
ogni volta che ci casco e guardo report resto incazzata due giorni.

la luna e il paltò
mercoledì 28 novembre 2007 9.28
domenica verso la sera dell'astigiano c'era una luna grassissima che tirava le cuciture delle nuvole sui bordi dell'autostrada.
sarà mica incinta pure lei, di tutti i sogni di bambini?

cucù
mercoledì 5 dicembre 2007 22.43
sto bene.
sto rotolando nel benessere.
sto talmente sfacciatamente bene che non mi si vede, non mi si sente e non mi si legge perchè mi sto sul cazzo da sola.
sul serio: voi cosa direste a una che ha preso dieci chili e se ne sbatte, che il ganzetto la chiama a tutte le ore per sapere come va, che i colleghi le levano le rogne dalla scrivania, e che tutti gli altri la vogliono sbaciucchiare le sorridono e le toccano la pancia?
visto?
lo sapevo: sto sul cazzo anche a voi! ;-D

gravidity
mercoledì 5 dicembre 2007 23.28
hey, sono ovunque: una persecuzione di panzute ripiene!
..adesso pure da gerriscotti.
chissà se pure loro hanno preso la sfacciata abitudine di dire tutto quello passa per la testa,  con una punta di maliziosa cattiveria e poi una scandalosa ridarella!

palazzi, giullari e principesse
domenica 16 dicembre 2007 22.27
Il primo giorno di dicembre arrivò più per appetiti che per tempo, che quella busta rigidina color avorio (di zanna?) morsicava la coscienza perbene di mrs Hyde e pure i vanitosi slanci spenderecci di miss Jekill da quasi un mese ormai, tutte le mattine posata tra le chiavi e le bollette, gentilmente spostata ogni lunedì dal solerte straccetto mangia polvere della mia signora delle pulizie e da me riposizionata la sera con sorriso da controllore soddisfatto assieme al resto dei tesori sparsi per casa, secondo l’invisibile schema che ogni malato di mente si compiace di definire perfettamente a posto.
Un matrimonio invernale era l’appuntamento al quale mi si invitava, assieme a una buona fetta della cittadina società abbiente – a me del tutto sconosciuta – e una ristretta e ben più cara divertente falange sciccosa delle “sisters”: il mio principe Lupiz, il caro Biscia Gaia, Madonna Mammolah ed io formavamo il bizzarro quartetto doppia coppia tanto più impeccabili nell’apparenza quanto inverosimili nella sostanza...
Personalmente trovo i matrimoni in generale una sorta di calamità stagionale, ci sono anni fausti che scorrono lisci e annate nefaste in cui magari te ne toccano tre. A parte quelli, oramai sempre più rari, di cari amici che un bel giorno decidono di sperperare una piccola fortuna in confetti e cartoncini, che son ottimi pretesti per noialtri ciniconi per gozzovigliare a sbafo prendendosi pure affettuosamente gioco dei colombi sposini e un bell’alkaseltzer il mattino dopo, la maggior parte dei casi si riduce al disperato tentativo di finire a un tavolo decente per qualche ora, augurandosi perlomeno che le scarpe nuove (unico ottimo pretestuoso effetto collaterale) reggano con grazia il collaudo.
Questo giro l’occasione era doppiamente favorevole però, se non addirittura quattro o cinque volte.
Vuoi perché il totale degli invitati di mia conoscenza era in numero perfetto per riempire giusto un po’ stretti un tavolo completo, vuoi perché chi in realtà ci aveva assolutamente voluti riunire lì non era la sposa, bellissima e dolcissima – anche in queste sue seconde nozze, ma il di lei irresistibile fratello Weryrrico, rampollo gaio dalla sfrenata simpatia e autoironico snobismo, sicché l’intera situazione sembrava più una cena tra amici ambientata in un favoloso maniero anziché la solita pizzeria (per quanto di classe).
Miss Jekill aveva dovuto faticare parecchio in realtà a rassegnarsi al rigoroso conto della massaia, per far quadrare un regalo adeguatamente ricco e le sopraggiunte rotondità della sua 23° settimana di gravidanza, rinunciando ahimè per una volta a un paio di scarpe nuove.
Per quanto l’immagine di una pancetta ben tonda ma ancora assai gestibile le procuri spesso sorrisi benevoli, lo specchio riesce comunque a far brutti scherzi quando si tratta di impegnarsi a fin di mondana eleganza. O forse più ancora del riflesso di dolce resa a una nuova vita,  mi molesta il ricordo vanesio di docili cerniere sottomesse, chissà, son ben strane le femmine.
Comunque quel sabato dicembrino, in rigoroso aplomb di calzone scuro premaman e sensato scarpino di camoscio griffato, camiciola infiocchettata di seta grigiocelestina, parure di perle riesumate dei tempi perbene protetta da capottino in tinta deliziato di ghirigori in jais – azzeccatissimo furto temporaneo perpetrato alla generosa Miriam -  irrimediabilmente accostato a maliardo guanto lungo in pelle e volpe color nebbia al collo, la nostra posteggiava a una distanza dalla designata chiesuola arroccata sul mare - un tempo custode di bisbigli di umili pescatori senza denti oggidì gremita di preghiere di ricconi – una distanza dicevo degna delle migliori maratonete nazionali: ottima per ripassare a mente tutto il suo repertorio di improperi da portuale, ma ancora ridicolmente ininfluente a bilanciare l’eventuale supplemento calorico previsto per di lì a poco.
Sul sagrato il cielo prometteva qualche democratica goccia, e intanto si divertiva a stropicciare la piccola folla di sottane e acconciature alle tante dame mingherline sbaciucchianti che solo il peso dei loro diamanti tratteneva dal volare via, i rispettivi cavalieri impeccabili nella festa abbottonavano il giusto numero di asole a giacche e capotti approcciandosi con eroico sfoggio di noncuranza per il fresco e scontato scintillio di successo dalle lustre stringate su misura alle semplici lampade uva testimoni di un pregiatissimo studio in centro dove però le palme e la sabbia son quelle cartonate dell’agenzia di viaggi giù all’angolo.
Qualche vecchina imbacuccata con barboncino incappottato al seguito e qualche famigliola a passeggio con pestifera prole a caccia di gelato guadavano incuriositi la congrega, e alla fine anche mrs Hyde trovò le facce che andava cercando e si beccò la sua dose di compiaciuti commenti.
Il nostro gruppuscolo sciccosamente agghindato nei vari toni che l’occasione suggeriva si sfumazzò l’ultima e poi si ricoverò al tepore delle candele elettriche e delle panche, prima che al fratellino emozionato della sposa venisse una crisi isterica a cercare di convincere gli ospiti a scrostare cappellini e carrozzine in tempo per l’arrivo puntuale (che donna eccezionale!) della regina della festa.
Una breve e composta funzione li scaraventò da lì a poco di nuovo alla mercé delle intemperie, conetti di riso tremebondo alla mano, scenografico tramonto di tempesta all’orizzonte e prime promesse mantenute di pioggerellina molesta.
Lanci e baci di rito e poi via verso le auto e il magnifico palazzo che ci avrebbe nutrito e stupito per il resto della serata, vanto della nostra città e del suo passato di glorie politiche e mercantili che un severissimo esercito di camerieri avrebbe dovuto difendere fino a notte inoltrata dalle dapprima educate occhiate poi sempre più scomposte intemperanze della corte degli invitati.
Uno stupefacente tavolo rinascimentale in marmo intarsiato assolutamente inavvicinabile a borsette e pashmine e riservato solo alla carezza famelica dello sguardo ammiratore accoglie gli ospiti nella prima sala del Palazzo del Principe, borghesissimi tavoli imbanditi di ogni stuzzichevole bendiddio gli fanno da cornice ai lati del monumentale camino sotto un trionfo di soffitti a cassettoni e celebrati sussiegosi antenati alle pareti.
Calici di biondo perlage a me proibiti ma compensati da leccornie triangolari o spiediniformi tintinnano o spariscono in gole e guance cicaleggianti, in attesa dell’arrivo degli elegantissimi sposi per dar via all’assalto da bucanieri in abito da sera alle stanze adiacenti, i tesori contenuti appena intravisti, tra l’ultimo frettoloso viavai di guanti bianchi, o indovinati grazie a sconfinanti pofumini adescatori.
E alla fine arrivarono gli sposi, raggiante lui in abito scuro che a stento tratteneva la gioia di esser riuscito ad accaparrarsi la sua principessa finché morte (o avvocato) non li separi e bellissima lei, in una nuvola sorridente di fluttuante georgette, maliziosamente arricciata dove l’esile fisicata permetteva l’esaltazione di una femminilità di candida sirena con una classe e una grazia equamente proporzionali agli zeri del conto della sartoria.
Svariati miei brindisi analcolici dopo, salvammo il buon Weryrrico dall’ennesimo infarto accodandoci alla processione scintillante dei commensali alla ricerca del nostro tavolo.
E a quel punto la bizzarria di strane coppie dai dettagli sartoriali e la mimica inconfondibilmente sventolante e immancabili belle donne da baciar solo sulla guancia si riunì – il caso volle – piazzandosi  proprio accanto al tavolo dei parenti incuriositi dello sposo.
In tutto eravamo una decina, noi invitati del fratello della sposa, riconoscibili dal numero di bicchieri, macchie sulla tovaglia e bottiglie già vuote allo scoccare della prima ora seduti.
Tra gli invitati dal labbro superiore sempre più luccicante al pari delle loro croste di diademi, spille, bracciali e nocche diamantate scorsi ben cinque signore più panciute di me, anche se penso di averle tutte battute per numero di incursioni al buffet: il ricordo di una zuppetta di ceci tiepida con gamberoni mi tormenta ancora certe sere con sogni di bramosia lussuriosa, a distanza di settimane, assai più delle citate magnifiche creazioni orafe più volte passatemi sgomitando sotto il naso.
Un banchetto di nozze in stato di gravidanza è una vera festa di profumi e sapori, se riesci a sbattertene abbastanza dei moniti di coscienza e bilancia, e pure per gli occhi e per lo spirito, quando ti accorgi degli effetti devastanti subiti da chi non è costretto a dissetarsi d’acqua.
Che poi in realtà nel turbinar di ravioli di pesce e torta di fragoline ci scivolarono pure ben due calici di Philipponnard giù per l’ugola, a rinfrancare discorsi di ritrovati compagni di classe delle medie e qualche volteggio danzereccio, sempre a fin di bene, per il nostro squisito ospite ormai sbronzo e quindi noncurante manco della mamma che incustodita recriminava rubizza di certe piccanti scappatelle del defunto e facoltoso marito, noto donnaiolo.
Manco a dirlo, scemata che fu la folla dei festanti, più o meno irriconoscibili nella fatica del divertimento, rimasero i soliti irriducibili. Noi.
Si tirò il collo all’ultima bottiglia di champagne con gli sposi, nei bicchieri da acqua, le cravatte in tasca, le borsette e i tacchi abbandonati qua e là, e le battute sguaiate del caso.
La sposa – dal generoso buonsenso genovese – oltre che della bomboniera e inevitabile doppia dose di baci, caricò le ultime signore anche dei centrotavola,  deliziose composizioni di foglie di magnolia e quercia, rose burrose, bacche rosso dicembrino e succosi melograni.
Succosi e pure dolci, ma traditori - come scoprìi l’indomani in preda ad attacco di curiosa gola a colazione mentre a momenti mi strozzo coi granelli rubini e stupefatto orrore alla ricostruzione dai messaggi sul mio telefono che il resto della mia banda non si era negato un prosieguo festante in localaccio di dubbio gusto, bontà loro, lasciando però le chiavi di casa nella mia macchina!

pre-natal
domenica 23 dicembre 2007 22.53
Dopo la pace di una settimana rubata al lavoro per farsi abbracciare e coccolare dalle montagne croccanti di neve scintillina e pizzicotti sottozero e baffetti di zucchero vanigliato di pasticcerie e grandi culate sul ghiaccio a penitenza del troppo ridere per le esibizioni sbruffone di un cane rosso di città che per qualche giorno si è spacciato per lupo siberiano di sei anni più giovane in mezzo ai boschi, ecco che arrivò anche l’allegria del natale di casa.
Ci sono stati anni di natale di corsa, in affanno per riempire i vuoti di 365 giorni scappati tra le pagine di un calendario di scadenze, altri di fastidio, quando tutto quel sorridente coro di auguri suonava come un insolente mancanza di tatto per chi in solitudine raccoglieva e buttava carta stracciata e laccetti rossi insieme al pensiero di un amante sfuggente, poi quelli di vigile controllo, a dribblare inevitabili conseguenze di banchetti e gozzovigli sullo specchio che di lì a poco avrebbe riflesso la seconda pelle luccicante di un capodanno carico di aspettativa.
Quest’anno però il natale – nonostante gli scioperi, le corse, le lontananze e le bilance  - è arrivato benvenuto, con tutto che la posta elettronica  è saltata intasata dagli auguri troppo ingombranti, e i nervi pure, che il mondo come al solito pare accorgersi al 19 che il 25 sarà festa, e tra questi schiafferei al primo posto pari merito il mio buon padre e fratello che si riducono all’ultimo per chiedermi di pensare al regalo materno (evidentemente i centri commerciali da metà novembre in poi li bazzico solo io).
Con un sottile benefico senso di perfidia ho soffocato i sani principi di comportamento britannico di mrs Hyde negando sfacciatamente il mio posto in coda a lagnose ottuagenarie frettolose con un sopracciglio alzato e la panza in fuori, prendendomi tutto il tempo necessario per passeggiare come una morbida tartaruga rovesciata per i negozi del centro e magari scherzare pure con le commesse magroline e inviperite, che il resto dei clienti aspettasse e che chi ha paura dei cani al parco si fotta, non ho mica più fiato per tenerlo legato il mio coguaro mannaro.
Quest’anno non ho dovuto soffrire nella scelta: ho scricchiolato sotto i denti le mandorle e i canditi del panettone e ho pure imbiancato la punta del naso con lo zucchero soffice del pandoro, regalando a miss Jekill un delizioso cappottino taglia 40 sotto l’albero, col preciso intendimento di rientrarci entro l’autunno successivo (se non proprio in primavera..)
E dunque benvenuti furon pure i tradizionali banchetti regalizi colle mie girls e le sisters, in riviera e città! Comodamente accudite al ristorantino delle squisite occasioni il primo, con una Bianca in forma strepitosa anche se insoddisfatta del suo nuovo taglio di capelli (confesso: il pacchetto l’ho già bello che aperto e pure indossato, lo so, ma quest’anno sono così: assolutamente indisciplinata!)
In curiosa esplorazione della nuova magione della Ines il secondo, un conviviale festino di otto femmine più o meno sistemate intorno a un tavolo, sinceramente più preoccupata per le candele che la Wanda accendeva in ogni dove che per l’accumulo di calorie extra sul mio didietro del bis di lasagne al pesto della Ines che ancora mi sogno o gli incalcolabili affondi di cucchiaio nella crema di mascarpone e marroni della Franca, bischeri scherzi delle cene sobrie.
Deliziosa la nuova tana della nostra ospite, in pieno centro storico, con affaccio su noto localino notturno, a sufficiente altezza da ripagare col relativo silenzio l’ardesia consumata degli otto piani di scale. Con bonaria ficcanasaggine ho osservato qui e là, tra i vasetti e le tazze oltre i vetri della credenza e o i flaconcini in casuale ordine a fianco al lavandino in bagno, persa in quello che ricordo ancora chiaramente fu un periodo per me bellissimo, quando imparavo a sentire mia la prima casa dove ho vissuto sola, godendo di trovare un posto adatto per ogni cosa, dannandomi alla ricerca di oggetti misteriosamente scomparsi per colpa evidentemente dell’unico occupante bipede.
Con l’avvicendarsi delle pietanze (ottime le succulente torte di verdura, e un plauso particolare ai carciofi fritti!) e delle fascinose commensali al mio fianco (chi fuma, chi si aggira, chi va in bagno, chi sparecchia) arrivò il momento dello spacchettamento, che fatti i dovuti conti (8 femmine x 8 pacchetti) è un trionfo di carte fruscianti, commenti irripetibili e mugolii e risate da sole meritevoli e ripaganti di tutti i tacchi e i neuroni consumati nei 20 giorni precedenti.
E infine la terza puntata gastronomico-prenatalizia,  abitualmente la più devastante, ieri sera: altri otto piani di ascensione alla mecca della decorazione kitsh-christmas (incluso zerbino santaclaus, carta igienica rennata, gingobels versione ska e tacchino farcito di 9 kg) a festeggiare con l’altra parte dei futuri zii il mio di ripieno ormai instancabilmente sgambettante e la santa ricorrenza.
E qui forse la mia pazienza è venuta meno, che lungi dal sentirmi una madonna de noatri, ho di buon grado accettato baci e abbracci fumosi di buoi e asinelli sbronzi, con una punta di insofferenza ahimè per una festa vissuta a metà da una che non si è mai tirata indietro di fronte ai vizi, e la stonata cattiveria che mi è sfuggita, all’indirizzo del malcapitato che ha cercato di vietarmi l’unico bicchiere di vino quotidiano concesso, e si è ritrovato a fumare con la testa all’acqua fuori dalla finestra. Che se tu dici che non posso bere, caro mio, io a te manco ti lascio fumare, tiè.
Più o meno verso le due, affaticata da tanto scartare di pacchetti,  lontani ricordi di passate vigilie sculettanti fino all’alba su palchetti viscidi di fiati sudati e bicchieri scivolati di mano, a far discorsi svaporati per bar affollati con la bocca piena di palline, o risvegli l’indomani con la sensazione di aver limonato con Rodolfo la renna mi hanno rimboccato un po’ troppo strette le coperte, con una punta di malinconia per i passati natali da monella scacciati presto da un paio di calcetti dal giovane Nureyev in panza qui, per far posto a fantasie dei natali futuri da trascorrere a far la guardiana insonne alle prese elettriche, alle lucine dell’albero, alle scorte di pampers e alle vibrisse del povero Rocco, il quale tra l’altro stamattina mi ha riservato una delle piccole gioie della cinofilia, con cinque mucchietti di vomito di colore uguale ma consistenza diversa disseminate sul pavimento in cucina, quale inequivocabile testimonianza di gradimento degli avanzi di tacchino recatigli in dono la sera, ingoiati senza degna masticazione.
E così da buon irlandese perlomeno lui ha tenuto alto l’onore della tradizione di bagordi dicembrini...

Nessun commento:

Posta un commento