mercoledì 14 dicembre 2011

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Brocantaggio a Brigantio
mercoledì 23 luglio 2008 1.16
A 1325 metri di altitudine, incastrata come un sassolino antico nel soffice verde alla clorofilla della val Durande, Briancon splendeva al sole croccante di una mattina di luglio, coi suoi denudati tetti e il belletto delle facciate rifatte in prima fila come simpatiche battone quatte e rilassate ai lati del loro canale di scolo.
Uno stucchevole restauro spilla soldi attirava i turisti marsupiali e i loro polpacci pelosi, come una spietata carta moschicida per banconote di moneta unica, salvandole – quest’ultime - dall’asfissia noiosa in portafogli serrati da lunghe giornate di salutari ed forzatamente economiche passeggiate d’alta quota. Dopo tanti fiori alpini, prati alpini, uccellini alpini, pecore alpine e baite alpine e empori alpini dove sì, trovi tutto, ma di una sola qualità, ecco, dopo tanta austerità alpina quale avido delirio andare a sbattere zigzagando come insettoni dal culo blu nel paradiso perfetto di casette di marzapane, un restaurato borgo medievale tempio della saponetta provenzale e annessi strofinacci istoriati, vetrine traboccanti d’inutilia da torpedone stagionale ma con quel non so chè di charmant  tipo il campanaccio vaccino a forma di cuore, la t-shirtucola artigianal-hippy-chic che ti cambierà la biancheria (in un solo lavaggio), le pietruzze dure al laccio che ti risolveranno l’esistenza, la matitella frufru, il portachiavi gnegnè e il peluchetto marmotta mailove che ti fischia vicino come una sirena ipnotica e appiccicosa, infallibile esca per bancomat sprovveduti.
Arrivi in fondo al viottolo del paese dei balocchi, al di là del bastione panoramico un verde velluto  si estende e si insinua fra incappucciate perenni, testimoni di millenni, dal buon Annibale coi suoi elefanti prima della moira orfei ai teleobiettivi japaneeze, da non sapere da che parte guardare: valleverde&vette o vetrine? 
La seconda. (voi non potete capire cosa sono due settimane senza shopping, per forza che poi Clara camminava). 
Ripercorriamo il borgo quindi, ammirandolo ancora nella sua perfetta pulizia, nella simmetria cromatica delle insegne, nella vellutata flora dei cesti appesi alle fontane, nella cordialità dei suoi menù touristique, sospirando contenta dei tuoi souvenirs, delle tue scarpe comode e della civilizzazione millenaria del consumismo, quando da buona figlia del vicolo l’occhio ti fugge oltre l’angolo, su per certe scalinate diseguali, dietro i vetri impolverati, a scandagliare cenni di vita vera oltre a quel presepe di mezza estate, ispirata dall’indicazione di un  monastero barocco poco più sù.
E te c’hai voglia di arrampicarti come un capriolo, ma la chiesuola sta chiusa, fermée.  Dal 16mo secolo, a giudicare dal suo deplorevole stato di abbandono. E  c’è pure chi dimostra di aver parecchio apprezzato la cosa, appropriandosi di fatto dell’aiuola antistante, a conferma  che lì oltralpe tengono in grande considerazione il diritto al wc (e chi di noi damigelle non ha provato sbigottita i super tecno-confort-igienicissimi servizi pubblici, magari sperando di farla in due per dieci franchi?!) - sacrosanto - pure per li canetti… Ma delle casupole anni trenta appassite dal gelo e dalle primavere, delle imposte legnose rosicate dal tempo di botteghe di chissachè e quando, e del piccolo musèe des automats dal tetto sfondato, troppo lontane dalla via dei negozi, ma non abbastanza dalle loro cucine, ahimè non interessa a nessuno?!
Torniamo alle grasse vetrine, in cerca di cibo, per scacciare l’amarezza.
Dribbliamo verande tappezzate di pizzas, plats du jour e storie di formaggio, alla ricerca di una rustica panca coi nostri tesori di quiches e tartelettes  insacchettate calde e finiamo così in stradina semi secondaria, sporca quel tanto che basta da farla sembrare vera, tagliata da fette regolari di sole larghe a sufficienza da non farci sudare e con un cavallo a dondolo azzoppato a far la guardia e l’antipasto in cima a quattro gradini  d’entrata alla grotta di un appetitoso Brocante.
Bonjour! Avanti.. la testa un poco ti si piega entrando, che il soffitto è intimo assai, e la signora brocante gentilmente sorride. Un figurino esile, occhialino tondo e tante collane castigano la scollatura di una blusa aragosta, morbide pieghe da sotto le quali spuntano due stecchi in jeans e sandalaccio. Tocco. Tocco moltissimo nei negozi dei rigattieri. Tocco la polvere di vite di altri, di storie vissute. Di sciopero delle pulizie anche. Di cenere dei due pacchetti di marlboro che madame tiene accanto alla scrivania. “..avez-vous des poudriers?” chiedo, per la mia piccola collezione di casa. Mi regala un sorriso, poi un soffio sul fianco di una bambolona guercia solleva una nuvoletta rosa “ah, non, terminès! j’en avais, mais maintenant.. j’ai seulement de la poudre!” ride roca, e ci divertiamo del gioco di parole.
Ha settant’anni e a settembre chiude la baracca, che quando era una bimbetta ci teneva le capre suo nonno lì, e così adesso fa i saldi e poi si trasferisce al sud.
Compro un vecchio diffusore per qualche spicciolo, che l’arsura secca di alta quota mi brucia la gola, e poi un piccolo calice da rosolio, per una cifra stupida se penso al ricordo che è destinata a  contenere. Chiedo il prezzo di una piccola acquasantiera e di una catena da orologio in ottone. “Ouff…Ca je vous donne!!”  Ringrazio, saluto, la crapa piegata da un lato, stavolta.
Sgranocchiamo i nostri pranzi, ripartiamo presto: non voglio che nulla turbi la mia scoperta preziosa, finalmente di un francese cordiale… 

chi ha il cane (e chi) non ha i denti
mercoledì 20 agosto 2008 10.39
e chi l'ha detto che non si possono insegnare trucchi nuovi ai cani vecchi?
al suono di coperchietto schioccante pollo plasmon mi compare una coppia di occhi marroni e pelo compostissimi e attenti.
le gengivine rosa invece strillano finchè non gli ci metti in mezzo qualcosa...

home is where the heart is
mercoledì 27 agosto 2008 13.56
ho-me
Sul perché un popolo così riservato pubblicamente (almeno i pochi purosangue rimasti sull’isola..) e dal gusto più kitsch in fatto di tappeti a metraggio e tendine da cesso abbia deciso di tenere separate e chiamare diversamente la casa intesa come costruzione e come focolaio dovevo arrivare alla soglia dei 40 e trovarci lo zerbino con scritto smile sunshine per dannarmici a capirlo.
O quantomeno a cercare di accettare che la cosa ha saltato una generazione nella mia famiglia.
È che ho poco tempo ultimamente. Poco tempo per me, poco tempo per le stronzate e poco tempo da dedicare a far piaceri.
Il mio nuovo coinquilino si è installato a casa mia da sei mesi, e niente è stato più lo stesso. Urla, gorgheggia e canta di notte, e quando vai a vedere di farlo ragionare, ride, e ti convince a restare a far due chiacchiere e una bottiglia, e magari pure a sfilargli le mutande.
La sua roba è sparsa dappertutto, ad asciugare, da stirare, da sterilizzare, da lavare, da piegare, da mettere a posto, da dare via.
E dire che ero stata avvertita.
Ma è come quando trovi un sandalo strepitoso in saldo e pensi che con un po’ di alcool e sapone sfregato su punti critici cederà e invece ti ritrovi coi piedi a quadrotti come una sabrina, qualche sospiro di frustrazione e un sorriso innamorato.
Un bimbo non è affatto un affare di eleganza e di colpi di fortuna.
Ma quando te ne accorgi è troppo tardi, sei già cotta arrostita, e te ne freghi, perché ormai  le tue priorità sono cambiate.
E così succede che il tuo appartamento in centro con giardinetto (amazzonico ultimamente) in caratteristica e irta crosa pedonale non ti va più bene.
O meglio. Inizi a pensare che forse esistono soluzioni più comode perché lo zainetto umano che ti porti a spasso di recente  non passerà di certo dal marsupio direttamente al motorino.
E qui  si risveglia il british-genoma, che aggrotta la mia fronte.
La nonna d’albione sfodera gran sorrisi, buon senso e ottima volontà, incrinando la pax romana che questa mia maternità a sorpresa aveva imposto non senza il mio velato interesse (ma le madri questo già lo sanno, e anzi se lo aspettano), sciorinando una lista di ordinatissimi e comodi appartamenti nel raggio di 27 passi da casa sua.
Non ho nulla in contrario ad un cambio di residenza (balle…), e passi pure la vicinanza genitoriale un po’ claustrofobica, ma i perversi meccanismi che mi  portano all’identificazione  morbosa con la (mia) casa perfetta, che so che non esiste e che però io decido lo stesso  di voler abitare (ma che  – ahimè – non mi potrei permettere), uniti ad un’inspiegabile propensione a sceglierla da me nel mese di agosto, non promettono nulla di buono.
La mia casa dev’essere d’epoca, vecchia, vecchissima, magari decrepita, che io la possa recuperare dove si può, adeguandoci l’una all’altra per rispetto e per passione per tutto ciò che lei ha visto prima di me, e tutto quello che le farò vedere io. E deve avere almeno un balcone per guardare fuori tutti assieme, e per la ciotola dell’acqua di rocco sempre pronta per il campionato dei suoi tuffi di naso a bomba.
La praticità viene dopo. E il garage pure.
Epperò I miei  abitano in agiata periferia edificata soprattutto dopo gli anni cinquanta, io in quartierello snobbetto costruito da famiglie arricchitesi con il fiorire della città nella seconda metà dell’ottocento.
Così non si va avanti.
Anzi vado indietro, mi aggiro per le stanze della mia casa, che tra qualche settimana sarà spiata da sconosciuti, finché non arrivi qualcuno che la stava cercando, che l’aspettava, che è lei, lui, insomma loro.
Odierò coloro che osserveranno e non compreranno, educatamente curiosi o imbarazzati dalla delusione, così come odierò finalmente i compratori e il loro trepidante sorriso.
Ogni muro di casa racconta i miei dieci anni trascorsici in mezzo: le maniglie delle mie porte, gli interruttori della mia luce, gli spigoli  che i miei piedi conoscono anche al buio, il numero di passi che mi portano ovunque a occhi chiusi.
I quadri che le ho appeso ovunque e gli specchi lì a denunciarmi gli umori e le ore piccole, le pareti di colore strafottenti come manate in faccia o vellutate e fuori moda come latte e menta, la porta di ferro da officina che conduce ai fornelli e le sorelle maggiori di legno sgarruppato che abbracciano e nascondono le altre attività, rovere biondo ovunque sotto le piante scalze, e peli di cane dappertutto.
Fuori il rumore del vento e il ronzio delle api tra i guanti rossi del mio gelsomino, un motorino scoppietta in curva giù sotto gli ippocastani del corso,  l’irrigatore del vicino sibila, ma è ancora in vacanza!, l’ascensore ansima e arriva, buongiornano la signorina del quattro e sbatacchiano il portone i ragazzi del sei o forse quelli del dieci che han sempre fretta.
Casa.
Casa non è solo una piantina, un piano, un tetto, accidenti.
Un barrito.
Il mio piccolo pavarotti affamato coi suoi quattro peli in testa e le orecchie rosa rosa.
Chissà se nella nostra prossima casa ci passerà il passeggino dalla porta…
 
riepilogo
mercoledì 27 agosto 2008 13.55
Bene bene.
Finite le vacanze mie care?
Allora, dopo la sigla, i titoli e prima della pubblicità:
Sono rientrata alla base in anticipo dalle vette montanare e fin troppo frescoline per la mia idea d’estate, eccomi a casa quindi per la gioia delle legioni di zanzare che possono riprendere i loro barbecue quando riesco a fare un po’ di giardinaggio, col machete, tra i quotidiani riti di misurini, frullatori, pampers e amplessi bavosi, che tutte le mie cure primaverili sembra proprio abbiano dato i loro frutti, e pure fusti e foglie però, grazie a madre natura, che in vacanza non ci va mai, eh..?
Sono ancora ovviamente tutti i miei morbidi +6 da smaltire, visto che l’altitudine e la natura stimolano passeggiate, ma pure caprioli e polenta, e ora non ho manco più la scusa dell’allattamento, che siam passati alla mellin,
Perlomeno niente depressione (avercene il tempo..) e neppure alopecia della puerpera.
E siccome la lupa non ha perso il pelo, figuriamoci il vizio:  così mi sono alleggerita l’anima, tornando (mamma) single!
Ma tanto voi questo un po’ ve lo aspettavate dai, un uomo per casa (mia) era già abbastanza, due era decisamente una folla (o una follia?..)
Durante le olimpiadi il piccolo tiranno ha smesso coi tentativi di bungee dalla carrozzina per tentare la promettente carriera del  pugile solista nel suo nuovo ring di vimini 100x50, dove per ora riesce a ficcarsi da solo in un angolo, tra un round di baci, urla e botte con un orsetto con l’epatite, una tigre che deve aver esagerato con gli acidi in gioventù e un canetto-libro con un principio di alzheimer. L’unico ostacolo al momento sembrerebbe la categoria, che il peso della mutanda varia notevolmente nel corso degli allenamenti impedendo la classificazione qui. Ovviamente le lezioni di canto ululato non sono state interrotte, che diventare una rock star del metallo richiede dedizione assidua, e allenamenti a sorpresa ogni due o tre notti, con consumo smodato di bottiglie e pomate. Alla bandana per adesso si preferiscono i bavagli, che la mattina danno quel tocco di mantella del mistero e un’aria decisamente da superman.
La nostra casa è allo sbando, assediata da attrezzi necessari per gli allenamenti, le cure estetiche e dell’ugola, il trasporto, il nutrimento e lo svago.
Rocco – per la sua stessa incolumità – è in colonia. Il porco se ne sta sdraiato tra i cuscini e i kilim dei nonni, mi fa un sacco di feste quando mi vede, ma di tornare sotto lo stesso tetto dell’aquilotto urlatore qui non se ne parla, tanto più che gli arrosti che volano da queste parti lui non li ha visti in 10 anni di vita ribelle da cane di single. Quando me ne vado appoggia il muso al mio fianco, mi scodinzola piano e torna al divano, tra uno sbadiglio rassegnato e un peto borghese.
Personalmente non mi dispiace affatto (pensare di) tornare alla civiltà tra un mese, magari ci scappa che riesco a far addormentare cullandoli i miei clienti più nevrotici
Gli autori però han pensato che non ne avessi a basta dei colpi di scema.
Per essere certa di non annoiarmi troppo ho fatto avanti e indietro da casa mia ai miei qualche decina di volte, salutando il benzinaio con bei biglietti color salmone, e pregando che il nido ancora ci voglia sotto la sua ala,  maturando così ai semafori la scellerata decisione di vender casa e provare l’avvicinamento domestico ai miei vecchi, che forse forse tra carburante e babysitter madrelingua mi ci esce davvero la rata del mutuo..
E così a settembre oltre alla agognata graticola della scrivania mi aspetta la vergine di ferro degli agenti immobiliari dentro e fuori casa.
Altro che multicentrum, tantum verde, activia, fibresse e nutrisse…

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