mercoledì 7 dicembre 2011

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cas d'un cuscus..
Mi chiedi la ricetta del mio cuscus di verdure…
Cara, hai deciso di dare uno scrollone alla tua vita? Pensi di sedare l’astinenza sessuale con vitamine e sali minerali? prime rughe? pelle grigia? buchi di cellulite sul palmo della mano? culo della consistenza di un caco? (e non questi nuovi ibridi che li tiri contro il muro e rimbalzano ferendoti come palle da mortaio, che poi compri quelli che c'erano prima e al primo morso ti accorgi che no, sono acerbi, ma e' troppo tardi e la lingua ti si accartoccia come un salvaslip scadente, di quelli che hanno solo un quadratino di adesivo in alto, e perdi l'uso della parola per 2 minuti buoni)
mi fa piacere. (non che il caco abbia fregato anche te ma che alla tua età scopri che pure le saporite pecore possono avere buon gusto) ma di sicuro ignori che il cuscus di cui mi chiedi non mi fa impazzire, e non per ottuso razzismo papillare, è proprio la consistenza granulina che non mi garba.
quindi: o l'hai mangiato da qualcun altro e hai sbagliato a chiedere a me o eri da me ma così fuori che hai scambiato per cuscus quello che avevi nel piatto… perlomeno sono certa che il vino ti e' piaciuto.
ma siccome in fondo le verdure fanno bene e io sono buona dentro, o le verdure sono tutte buone e ti voglio fare del gran bene... ti spiffero mio piccolo segreto per la sopravvivenza da erbivora:
insalata - sbattimento da 1 a 10,  8. provenienza: patinato inserto uikendistico di quotidiano di qualche tempo fa. estate.
compra una busta di rucola e/o valeriana, nome stiloso del serzetto, che col fango che gli resta attaccato in quelle cazzo di serre di Cartier vorrei sapere cosa ha da costare cosi' caro, quindi meglio se gia' lavata –  che la fatica viene dopo, meglio portarsi avanti. una mela granny smith - quelle verdi fosforescenti che trovi a circa 3,61 euro l’una col bollino di velluto ricamato a mano dalle sarte filippine. o una pera acerbina. e un pompelmo rosa. in una ciotola cacci e condisci con aceto balsamico le foglie, la mela o la pera tagliata a dadetti e il pompelmo pelato al vivo. (e qui ti voglio: va tolta anche tutta la pellicina bianca. auguri e niente fretta che se ti schizza in un occhio perdi altri 25 min solo a recuperare la vista.)
fa un figurone - e sta bene chessò con un onesto spada marinato del gelopesca.
va da sè che se ti sei fumata una canna ti resta un bel po' di spazio nello stomaco da riempire col pane. quello integrale coi semini di sesamo e/o papavero ti fa sembrare padrona di casa raffinata anche se parli con la bocca piena. vino: bianco. sfizioso e poco calorico (vino&pane escluso), ma l'aceto balsamico e' veramente bastardo sulle tovaglie bianche.
verdure saltate - sbattimento 8,  se sei un samurai 1. provenienza: una sera il frigo desolato mi guardò come se pensassi di aver strofinato la lampada di aladino invece del posacenere made in china, fu allora che mi ricordai del take away cinese, e per una volta fui io a copiare loro. ha-so.
tira fuori il cassetto e seleziona: una carota, una cipolla, uno zucchino, un peperone. se guardi bene magari c'e' pure una lattughetta, anche un po' stanca va bene. forse nel freezer hai ancora degli champignons del natale scorso. o dei piselli. se hai programmato avrai i germogli di soia. ma conoscendoti li avrai dimenticati sotto la sella del motorino. se hai voglia di andarli a prendere, vai. sono buoni e fanno bene. non come me. ho-sadajo'. lava tutto. ringrazia gli anni di cane al guinzaglio che ti hanno irrobustito il braccio destro, armati di un buon coltello e taglia tutto a striscioline della stessa misura. i germogli li lasci così, i piselli pure. la lattuga a strisce un po' piu' grandi. Occhio che le dita servono intere. scalda in una padella grande ( wok?) un po' d'olio di semi e della salsa di soia, poi inizi a  saltare le verdure cominciando da quelle piu' toste da cuocere (carota - zucchina - peperone - cipolla - piselli - etc) e via via con le più tenere ( funghi, lattuga e germogli) il tutto non dovrebbe cuocere troppo, meglio se resta un po'croccantino. nel frattempo tu cuoca provetta avrai fatto bollire un po' di riso sul fuoco accanto, così se non ti sei già schizzata con l'olio bollente, magari puoi recuperare ustionandoti scolandolo. ma sorriderai con la flemma di una gheisha portando il tutto in tavola. da bere, bene la birra secondo me. liemplie molto bene il vuoto che è in te,  calolie medie e accettabile equiliblio ploteine, calboidlati e veldule. ma la salsa di soia e' velamente tloia sulla tovaglia bianca.
curry di verdure - sbattimento: a questo punto piu' a scriverlo che a farlo... 8.  provenienza: la mamma british che smadonna contro i pakistani ma poi gli ruba le ricette.
verdure di ogni tipo vanno bene -  il mix di patate, melanzane, cavolfiori e lenticchie per me sono il delirio di Ganesh. comprati la polvere di curry che preferisci + o - ferocemente piccante. appassisci con olio di semi uno spicchio d'aglio,  cipolla. aggiungi le verdure ( anche congelate ok) fai stufare con mezzo dado, una strizzata di concentrato di pomodoro e un po' d'acqua  e vai di curry quanto ti pare, ma non farle attaccare al fondo che non vengono via manco se gli racconti (…) tutto il kamasutra. ti consiglio di lasciarti andare col peperoncino, cosi' hai la scusa di servire con yogurt bianco (NO muller) e/o certioli a cubetti a parte. buono e scenografico. ovviamente anche qui avrai bollito a parte il riso (basmati), che  servirai ostendando con la placidità di Gandhi ustioni degne del miglior bovino pagano del Montana. annega le sofferenze fisiche che ti dilaniano in silenzo con un buon vino rosso robustello. e godi della sensazione di ulcera peptica sapendo di essere sana. le calorie dipendono da quanto bari col riso, e se ti sei spazzolata tutto lo yougurt prima di finire lacrime, sudore e colate di naso. ma soprattutto osama bin laden non e' nessuno rispetto al curry sulla tovaglia bianca.
quindi cara la mia cuochina sbadata, due cose ti dico ancora prima di chiudere.
1 - comprati un bel 5/6 tovagliette plastificate, all'americana.
2 – usa questa mia e inoltrala al fidanzato della tua peggior nemica che non saprà resistere a queste tue siffatte doti di alchimista dei fornelli, così la scarica una buona volta e riconosce che sei tu la donna della sua vita chiedendosi come ha fatto finora  a sopravvivere senza etc etc
buona serata, e va da sè che se al riso vuoi sostituire il cuscus...


 Mrs Hyde
Every woman is a rebel and usually in wild revolt against herself.
(A woman of no importance – O.Wilde)

My personal rebel career so far, being the lazy little lump i am, has swung incredibly smoothly through my adolescent years without causing any serious damage, peaking slightly for four days only as a runaway guest at my best friend’s house when i was sixteen, to complain against my parent’s cruel law of “back home at 10 sharp”. I soon got sick of wearing the same clothes and resolved to go back home, in time for the Saturday night disco and to roll like a grinning piglet in the soft mud of my little victory, only to realize many years later how sensible certain regulations had been and how sticky mud and midnight mischief can get.
As a child which had very often been seen (mainly at feeding times) but not heard, and as a shy glasshouse teenager lodger who was terrified of throwing stones, just in case i got smashed to shameful tears in return, my rebellious streak finally decided to awake again and come along and help me pack my cases and leave a heartbroken but unreliable husband, around my thirties, after six months of itchy rashes, cold sores, nervous stuttering and a useless diet of headache painkillers, nasty rows and flying pans, cups and saucers.
Four years later i got fed up of yelling to the world, who was buisy elsewhere anyway, shouting out loud i was a rambling rebel and oh so free (and most of the times quite tipsy), and eventually settled down to become a lady.
Or at least more ladylike.
Nevertheless the embers lurking under the cinder of my skin has not yet definitely estinguished, i am still placidly battling.
Against myself.
It is a constant polite discussion, made of disagreements, reproaches, hurrays and unspoken promises i face in my mirrow every morning.
It is a friendly inviation to you, who may come across my writings, to smile with me, to make me question myself, to charm me into your minds, to help me feed and sedate my curious inner rebel with your point of view, your jokes or suggestions.
You’re welcome, ladies and gentlemen, to be my guests.
But please do remember to mind your manners.


 
Bambole, birra e bonbon
Venerdì verso le sei la mia settimana lavorativa se n’è andata che fuori faceva ancora un chiarore trasparente di prossima primavera sulle note di una marcia trionfale, battendo il tempo sul tasto “invia” di una mail con i definitivi dettagli di un progetto di distribuzione esclusiva per squisitezze alcoliche che inseguivo da sei mesi.
Di lì a poco, galantemente puntuale, trillava la richiesta scritta di tal marziano a conferma che finalmente iniziava il weekend, lasciando impassibile il mio adorabile quadrupede rosso alle prese con un tronchetto quasi morto e obbligandomi invece ad inventariare seriamente l’armadio di miss Jekill e a cronometrare tutti i suoi collaudati segreti espedienti per far alzare piacevolmente le sopracciglia ad un uomo.
La temperatura gentile premeva per una trentina di centimetri di stoffa di maliziosa gonnellina a pieghe, il buonsenso acconsentì, ma accompagnandola da un paio di calze spesse quasi come la pelle dei cuissard che per quanto lunghi non riuscivano a sfiorarle l’orlo, e costringendola poi a sbirciare tra i passi della notte da sotto le falde di un cappottino molto perbene.
E a sicura ultima difesa dagli sfacciati spifferi marini delle escursioni tabagiste, dagli sguardi appiccicosi e dalla noia, la carezza di un sobrio dolcevita e una birichina parrucca fuxia.
La piccola Tina qualche ora dopo si sbellicava lacrimante alle redini del suo calesse motorizzato sotto casa mia giocando a fare Helmut Newton con i tasti del telefonino prima di scortarmi ad assaggiare due birre e l’inizio di serata appollaiate su un paio di instabili sgabelli roteanti.
Ci sono certe sere, il venerdì, che senti nell’aria un chè di diverso.
È nel suono ancheggiante dei nostri tacchi appuntiti amplificati dallo stretto abbraccio dei vicoli, nel ricciolo di profumo croccante degli usci fumosi delle pizzerie, nel tintinnante cozzar di posate, cristalli e goliardici brusii che scivolano dalle tovaglie dietro i vetri dorati dei ristoranti, negli incroci casuali di pastosi sguardi sconosciuti che sanno di pigra sveglia l’indomani, magari non più soli, e nell’alito dei nostri racconti di femmine del lavoro diurno ormai svolto e di quello ben più indisciplinato che ci attende.
Sono le sere che non ti aspetti, ma che te ne accorgi solo il mattino dopo.
Poco prima di mezzanotte di fianco a noi tre untuosi figuri ancora più traballanti dei nostri trespoli circuivano un’accondiscendente dama dalla pelle color caffelatte con scomposti schiamazzi e palpeggiamenti mascherati da volteggi danzanti, stonando indegnamente tra il sottofondo caraibico elegantemente rivisitato e i discorsi ancora sobri degli altri pacati avventori, mentre a meno di duecento metri in linea d’aria il resto delle ragazze si compattava nel covo chiacchierino della Miriam per raggiungerci di lì a breve al nostro affollato abituale ritrovo.
La parrucca di miss Jekill ha strappato cinguettanti baci festaioli alle mie girls, e poi a turno le ha incoronate immortali principesse dei pixel, rimpinguando il mio indiscreto scrigno digitale di prove inconfutabili di quanto può essere bella la risata di un’amica e tremendo il Berto coi capelli rosa.
Arrivò anche il gentile marziano, con il suo eterogeneo branco atletico e sorridente, e la mia miss si apprestò dunque all’esplorazione più approfondita di questo nuovo mondo bipede, di cui aveva fino a quel momento solamente un paio di sfuocate polaroid scattate dalla sonda sbronza e distratta di due sabati prima, di un’atmosfera fin troppo salubre e una sconcertante totale aridità alcolica, seppur coadiuvata da un’intrigante morbidezza orale.
Non credo che esistano persone noiose, la noia è quasi sempre nell’orecchio di chi ascolta, per pigrizia affettiva o per divergenti necessità mentali.
Semplicemente se chi abbiamo di fronte risponde a pochi ma determinati requisiti di cui noi più o meno inconsciamente abbiamo bisogno in quel momento, e che possono variare immensamente per un consulente fiscale, una commessa di un negozio di scarpe o un papabile compagno di vita (e vizi) o di una notte, proviamo interesse, altrimenti no.
Questa mia forse approssimativa convinzione mi ha aiutato più volte a rassegnarmi con un’alzata di spalle delusa per certe mie coriacee ex fiamme spezzacuori o inespugnabili giovanotti impermeabili ai miei tentativi di insediamento nel loro cuore astenendomi rispettosamente dal commentarne l’arredamento, per vederli miracolosamente trasformarsi poi nel giro di un mese in ospitali ville tripiano con tanto di progetti di piscina e pavide espressioni zerbine dipinte in faccia per le invisibili grazie caratteriali di altre diversamente dotate femmine.
E quindi stavolta una sbadigliante e  priva di scrupoli miss Jekill si è divincolata con garbo fuggitivo dal vorrei-fare-il-simpatico sarcasmo di discorsi appassionati di levatacce antimeridiane per tavole e onde o dell’amara castrante realtà di una professione subita malvolentieri senza sinceri propositi di alternative ambizioni, e maledicendosi tra sé e sé per le piccole chiare traditrici ingurgitate due settimane prima si è rapidamente rifugiata a bere un’altra disdicevole media in mezzo alle saporite frivolezze delle sue venusiane, risolvendo in definitiva che una certa acqua di mare e vento ahimè non si legavano affatto alla sua natura di petali di rosa, luppolo e frustino.
Alle due il Berto ci ha fatto il solito prezzaccio di favore per la scandalosa collezione di bicchieri e ciotoline vuote sul nostro tavolo domandandoci non proprio velatamente se non avessimo tutte quante una casa dove andare.
Alchè, dopo l’ultimo giro di baci e ripassata di lip-gloss, con la Tina e la Ines si è deciso di finire i soldi e le forze trascinandoci  a smaltire cantonate sentimentali e patatine fritte e dare quindi il colpo di grazia alla serata agonizzante in storica balera sotterranea giusto poco distante.
La Palude è un angusto imbuto sociale, dove tra muri imperturbabilmente scrostati e la stessa scaletta musicale da decenni, si raccolgono i resti della notte cittadina affascinandomi regolarmente per la sua stupefacente fauna di randagi uomini dalla testa di cane smarriti in fervide disquisizioni insensate con giovani camice azzurre che hanno perso ogni ritegno oltre al maglione di cachemire.
Tra balli umidicci, strusciate spintonanti, bottiglie verdi masturbate e gli oceanici racconti finalmente compresi di un succulento ma un po’ spesso marinaio australiano, ci siamo imbattute anche in Lucifero e il Gatto Mammone, due superstiti del branco dei marziani di prima,  evidentemente meno propensi a braccare le onde per andarsene a caccia di ben altre curve.
Non saprei dire esattamente come è andata.
Ogni venerdì sera esco di casa con un sacchetto di baci in tasca, li distribuisco a mio esclusivo piacimento, quelli piccoli a forma di fragola alle mie amiche, quelli un po’ più grossi con il ripieno di limonata frizzina possono occasionalmente capitare a sconosciuti gentili, per il puro gusto di vederli sorridere sorpresi da un caloroso augurio di solitari sogni d’oro.
Ieri però devo aver fatto confusione col sacchetto.
E il giochetto esibizionista e malandrino di sfiorare rapidamente sulla bocca la Tina si è trasformato in un morbido morso a labbra dischiuse. Piacevolmente sorpresa io stavolta, dalla inusuale setosa assenza di baffi e barba, e dalla dolce consistenza rosata della sua linguetta, a dispetto delle parole taglienti che sovente produce, me la sono presa comoda. E pure lei.
La Ines trascurata a quel punto reclamò rumorosamente divertita anche la sua di fragola, e noi generosamente entusiaste a turno la si soddisfò sofficemente.
Lucifero e il Gatto Mammone si rimisero i bulbi oculari nelle orbite e chiesero educatamente se per caso non ci fosse qualche bacio avanzato anche per loro, e a quel punto la cosa degenerò terribilmente e nel bel mezzo della pista c’erano ben cinque bocche adulte eterosessuali che si incrociavano esplorandosi con cortese interesse, senza preferenza, secondi fini o gelosia alcuna, prima di riempirle di peccaminose pizzette e panini e ultime risate dal porchettaro puzzolente sulla via di casa.
Un’audace primizia di giunchiglia gialla e una frizzante brezzolina hanno adescato le cure giardiniere di una compita mrs Hyde stamane, che facendo scempio delle unghie laccate di fresco la sera prima affondava con divertimento bambino le mani nella terra e nel pelo fulvo del suo canetto ficcanaso, soffermandosi pensierosa e incuriosita ad osservare le dimensioni della sua linguona bavosa e domandandosi se se lo fosse solo sognato e se lasciando la  Palude miss Jekill non avesse davvero incontrato anche il Berto e la Jolanda e non si fosse negata l’occasione di dare una ripassata anche a lei.

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