mercoledì 30 novembre 2011

archivio

la principessa sul bidè
C’era una volta, alla fine del millennio scorso, ma proprio lì lì quasi alla fine, una piccola principessa timidissima.
Viveva in un castello di 90 mq e 3 balconi con vista (e udito e olfatto) sul mercato ortofrutticolo, la moquette rossofuoco e il riscaldamento centralizzato, col re padre, la regina madre e i due principini fratelli...
Il re padre era un re moderno, si alzava presto tutte le mattine per andare a lavorare,  aveva gli occhi che ridevano sempre e quando tornava alla sera raccontava fantastiche storie di regni che visitava e delle genti che vi conosceva.
Faceva un lavoro che la principessa per molti anni faticò a comprendere, al punto che spesso invidiava le damigelle coetanee che se la cavano con un papà che faceva che so il pasticcere o l’impiegato di banca. Perché arrivava sempre il difficile momento di spiegare in piedi di fronte alla classe nuova con le orecchie incendiate cosa fosse il fornitore di bordo specializzato in liquori, che non era un pirata ma forse un po’ sì, e non era un oste ma quasi, e poi pure un po’ grossista ma non per tutti, oh insomma..  si sa che le maestre sono delle incredibili ficcanaso e i bambini sanno essere crudeli, e alla fine la principessa imparò a cavarsela sparando “il provveditore” con un addestrato sguardo saputello , ma a quel punto era quasi ora che ci andasse pure lei a lavorare.
La regina madre era una donna bellissima, il re era andato molto lontano per trovarla, su al nord, nell’isola dei Duran Duran, dei Burberry e del merluzzo fritto con le patatine, e la amava teneramente. 
La regina era una giovane signora che nonostante portasse le riprovevoli gonne di una tale Mary Quant si prendeva molto sul serio e faceva del suo meglio per governare e approvvigionare il castello in assenza del re, ma francamente quella lingua con tutti quei congiuntivi e il diverso concetto di fare la coda di questo suo nuovo paese mettevano spesso a dura prova la sua pazienza.
Ogni tanto finiva che a farne le spese erano i tre principini, che per quanto non stessero mai fermi lei riusciva sempre a colpirli con britannica precisione quando voleva.
Un po’ perché la volontà di ferro era sempre stato un suo pregio e un po’ perché con il cucchiaio di legno e la ciabatta ci sapeva fare, merito del cricket praticato in gioventù.
La vita di corte al castello tutto sommato era una pacchia. L’ala riservata ai principini non era affatto male, se non  che un giorno un non so che ambasciatrice molto sorridente e progressista  li omaggiò di un album da disegno Fabriano e una scatola da 24 colori di pennarelli Carioca, fomentando la loro vena artistica intanto che lei prendeva il thè con la regina mamma.
Peccato che un album in tre finisca presto e l’arte quando fluisce è un fiume inarrestabile.
Quella volta il fiume andò a sbattere contro il solito cucchiaio di legno, e vuoi la moda di quegli anni o semplicemente l’offerta al brico sotto casa , i muri della cameretta il giorno dopo diventarono di un bel arancio carico.
Arancione è ancora oggi il colore preferito della principessa, forse proprio legato a quel periodo che lei ama ricordare come “il periodo dell’anatroccolo”, ma non perché si sentisse predestinata a diventare un cigno bensì perchè le sembrava di svegliarsi tutte le mattine dentro il tuorlo di un uovo.
Ma la stanza in assoluto che più le piaceva era il bagno.
Il bagno del castello di corso Sardegna 58/6 era ricoperto di piastrelle rosa, un bel rosa porcellino ai muri e nero pece in terra. E anche se a una bambina di sette anni il nero fa un po’ paura, il rosa rimane indiscutibilmente il colore non plus ultra in assoluto il più elegante dei colori.
Bastava non guardare in terra e il gioco era fatto.
Ogni tanto però così capitava di pestare scalza qualche ramingo soldatino disertore evaso dalle ceste dei giocattoli dei pestiferi principini fratelli, e lì per lì le veniva un po’ da piangere per il male, ma era proprio un attimo.
Dopotutto era nella stanza rosa, la più bella!
E poi le vere principesse non piangono per i soldatini.
Ma man mano che la principessa cresceva la sua educazione divenne motivo di preoccupazione per i reali genitori.
Dati infatti il forse iper-protettivo carico d’amore paterno rovesciato sull’unica femmina e le scarse possibilità di occupazione per le principesse bilingui nel mondo del lavoro di fossili irremovibili e scontrosi laureati (anzi all’epoca le facoltà pullulavano di briganti) pareva scontata la  predestinazione al glorioso reparto commerciale nell’attività di famiglia.
Lo scoglio delle tabelline andava dunque affrontato e superato a qualsiasi costo.
E soprattutto quella del sei e del dodici, che tra pirati.. ooops.. provveditori, mica ci si scherza con le casse intere di whisky.
Una sera più delle altre il re tornò e trovò la sua principessina molto giù.
Mentre ascoltava gli affranti e sbrodolosi resoconti della melodrammatica piccoletta di spietate interrogazioni, di impari competizioni con più fortunati compagni di classe inspiegabilmente capaci di indovinare tutte le risposte giuste, calde lacrime di frustrazione e sgomento rotolavano giù per le tonde guance della disperata bambina scavando solchi di fuoco e di dolore nel suo cuore di papà.
Decise allora di occuparsi personalmente della questione, in quanto la regina mamma aveva fatto una faccia che lui conosceva molto bene e che era la faccia della mamma che dopo una giornata con tre scimmiette urlatrici non vede l’ora di sfamarle anche a costo di usare un imbuto e ficcarle nell’uovo, mmh… in camera loro, a letto, e niente carosello oggi, i said now!
Allora il re prese in braccio la principessa col suo quaderno a quadretti tutto sputacchiato di lacrime e le disse
”adesso sei troppo stanca, ma metti il quaderno sotto il cuscino stanotte e vedrai che entro domani mattina i folletti ti avranno portato tutte le risposte giuste nella tua bella testolina dura. Ti vengo a svegliare presto e le tabelline le  ripetiamo insieme”
Con questo trucco magico l’indomani la principessa non aveva dubbi che avrebbe stra-battuto tutti alla gara di tabelline.
Scattò fuori dalle coperte lesta come un furetto glabro e mentre il sire padre si preparava facendo smorfie allo specchio nella stanza rosa lei seduta nel regale trono/bidè coi piedini a penzoloni ritmava declamando fiera.. 2 x 5 = 25 …3 x 6 = 46… 5 x 7 = 67… 6 x 8 = 48 (casualità) … 7 x 9 = 69…
Il re sorrideva con aria strana, annuiva teatralmente e ogni tanto la correggeva.
A un certo punto però si voltò e asciugandosi la roba bianca che aveva sul volto parlò con aria seria seria alla piccola principessa guardandola negli occhioni fiduciosi.
“Ora stellin, quando sarai lì a scuola oggi, o in qualsiasi altro posto e momento della tua vita, e ti sentirai di avere tanta paura di non farcela, di avere a che fare con qualcosa di più grande di te, chiudi gli occhi e immaginati la maestra o il tuo peggior nemico seduto sul gabinetto che fa la cacca. Vedrai, fidati del tuo papà”
Allora, la principessa fece una figura meschina quella volta a scuola.
Ma ne fece poi molte altre nel corso della sua carriera di studente, finendo pure rimandata di matematica e fisica a settembre in seconda liceo (ovviamente la prof ce l’aveva su con lei) e quindi finì per non farci più caso. Poi arrivò Bill Gates e la principessa divenne una accanita sostenitrice di excel.
Imparò che una calcolatrice la si può sempre comprare, ma la capacità di guardare oltre il problema contingente e godersi il bello della vita no, quella l’aveva imparata dal re.
E ancora oggi quando affronta un avversario commerciale, un funzionario prepotente, un cliente spacca balle, una stronza che ti vuol fregare il posteggio o l’ultimo paio di scarpe 36,5 di gucci in saldo, la principessa non dimentica mai che la persona che ha di fronte non è che un altro essere umano, esattamente come lei, fa uno strano sorriso e si domanda che carta igienica usino.
E comunque : 3 x 6 = 18 … 6 x 6 = 36 … 5 x 12 = 60

archivio


6 gennaio
E finalmente la vecchina volante è arrivata sulla sua fuori serie d’epoca che Harry Potter se la sogna una scopa così e ha spazzato via tutto.

Spazzata via la stizza del barista che stamane ho sorpreso da tergo mentre si esercitava in perversi giochi di bondage solitario a rotolarsi imprecando con festoni di pino e lucette appiccicose, squassando la vetrina dei panettoni in offerta 2 x 1, sussurrandogli con aria complice “un caffè lungo..grazie.. poi, quando può”

Spazzato via lo stato di delirio confusionale dell’edicolante-tabaccaia mezza sorda che mi ha costretto a gridare tre volte a squarciagola Tampax  prima di avvedersi che io no, non leggo La Stampa, illuminando così l’affollato negozio sul mio stato di indisposto nervosismo e cronico retaggio di giovanile ignoranza, beati gli anni ottanta.

Spazzati via i confortanti quadretti di numerosi genitori che si mandano con glaciale affetto rispettivamente affanculo di fronte alla prole sguinzagliata al parco, stremati dalla prolungata esposizione congiunta a parenti , coniuge e spumante dolce, crudelmente abbandonati da egocentriche baby-sitter o nonni troppo mondani, e delusi da scandalose prolungate serrate di scuole e asili nido..

 Sarà stato quindi il sollievo per la fine di questo periodo di estenuanti prove per il fisico, lo spirito e il portafogli a guidare la mano di tante mie care amiche?

Perché ancora non mi spiego come mai ho ricevuto più sms di auguri per la Befana che per Natale&Capodanno…

archivio

black is back
l'amica troppo fashion  scellophana 700 pagine di settimanale femminile   ancora croccante, si fuma la terza di fila e sbuffa "mmmhfffhhhh... questa primavera torna il nero”
bene.
il mio guardaroba è ancora già di moda.
come l'umore.

archivio


La vera storia di Peter “Pablito” Hood Cerveza y Chorizo y Espinoza y Boh

In questi tempi di cavoli ogm e cicogne appestate con l’aviaria, battaglie per Pacs e onorevoli Luxurie in fondo questa potrebbe essere una storia come tutte le altre.
Ma l’outing va così di moda che se ne sentono di ogni, e la nostalgia canaglia ci va giù pesante quando sei alla settima piccola chiara, o a metà della quarta media tiepida, circondata da T.M.T.U (tanti mostri tutti unti).
Capita allora che una misericordiosa compagna dai capelli carota e gli occhi smeraldini ti faccia sorridere in coda al necessario rito dell’incipriamento del naso, e lì, sulle infide scalette che leccano viscide i tuoi tacchi a spillo e il maleducato faretto curioso che sfida i limiti del tuo favoloso nuovo fondotinta mat, lei, la fida compagna, ti rapisca nel suo mondo fantastico e un po’ sbronzo di racconti quasi veri e all’improvviso non ti frega più un cazzo che la stronza bionda ossigenata con le tette di fuori e  il collant bucato ti stia passando avanti e magari ti finisca la carta.
Anzi quasi ti sentiresti così bendisposta da avvisarla, guarda bella, fai meno la splendida checc’hai un bel buco lì dietro al cosciotto… (E così chiariamo una buona volta che le femmine vanno in bagno in due perché una  tiene e l’altra pesta, e di solito una delle due ha anche i fazzoletti di carta e l’altra le vigorsolairactionsenzazucchero, o similari mentine).
Allora… la carta…si si si ..
C’era una volta, qualche anno fa, una straordinaria fanciulla di nome Caterina.
Dati i genitori sconosciuti era un esperimento incredibilmente ben riuscito di irregolare bellezza, piccolina nelle sue umane proporzioni, forse col culo un po’ piatto e poche tette, ma con un incantevole sorriso sgembo a metà tra la smorfia che ti viene quando prendi una storta ma non vuoi far vedere che fa un male porco e la scomoda gioia assetata che ti illumina d’istinto il volto quando uno che non ti faresti manco se fosse l’ultimo uomo in giro dopo i tuoi due anni di master attitudinale multi-etnico a Ponte X o in collegio svizzero ti chiede se vuoi bere qualcosa e tu hai lasciato il borsellino in guardaroba.
Caterina aveva quel quid, quella strafottenza nel lasciarsi vivere che la faceva apparire divina nello sprezzo degli umani e delle loro leggi.
Come dire, levati dal cazzo, razza di loser, io ti farò solo del gran male carino, ti farò girare in tondo, girare come l’acqua nei tubi..
Ma gli uomini amano quel tipo di ragazza. (e lo stesso vale per le donne comunque, dev’essere perchè siamo fatti di mer..  o per l’80% di acqua..)
Un ragazzo la amò più degli altri, e la forza di quello che al risveglio, abitualmente verso le tre post-meridiane, gli formava regolarmente una tenda canadese con la trapunta a orsetti polari e che lui scambiava  per sincero sentimento, beh quel sentimento lo trasformò in eroe moderno.
Pablito Hood in realtà era un fancazzista della madonna, mantenuto dalla madre che lo amava come la sua pupilla destra, (la sinistra se l’era accaparrata il suo barboncino castrato Cujo, nel senso che in una futta isterica per colpa dei mortaretti gliel’aveva sgagnato, e così dal capodanno del 1999 la poveretta aveva un occhio di vetro, e menomale che non c’era già più la buonanima del capitano Ronald Hood, trascinato via dal rhum Concita e da 2 ballerine di lambada rumene al largo di Pizzo Calabro, che ad avere il coraggio di fissarla un po’ si vedeva, il vetrone).
Unico figlio maschio, Peter “Pablito” Hood era bello come il sole, ancora tutti i suoi capelli e bello magro e scattante alla soglia dei ventisette.
E poi generoso, buono, caldo, fico, da mangiare come la farinata coi bianchetti del giovedì della Rina.
Solo, forse, proprio a voler cercare, un po’ pigro, ecco.
E gran sciupafemmine.
Ma per Caterina Pablo si industriò talmente da diventare nel giro di una stagione un rinomato uomo d’affari, conosciuto e riconosciuto in tutti i locali che contano (attentamente i suoi giorni di libertà).
Alleggeriva con talento e tatto le forniture ai ragazzini ricchi, che tanto a loro faceva un favore, che poi le tipe cachemirate gliel’avrebbero data comunque, l’Amicizia, a loro.
Bastava solo insegnargli come saper far intravedere ecco forse la possibilità, dopocena, sorridere sicuri e sussurrare la Parola al di lei lobo ingioiellato con un foro solo, e lasciarla cadere da lì giù per la tromba (…) d’eustachio tutta rosa, a rimbalzare nella segatura rimasta tra la calcolatrice e l’ologramma  di un modello di borsa in plasticaccia milionaria che ingombrano lo spazio tra un orecchio e l’altro.
E…paff.. stessa espressione di curiosità mista “son cose che non si fanno”, lei,  e “forse quasi magari sicuramente al 90% me la trombo”, lui.
Certo, ogni tanto andava buca, mica che si può capire quanta segatura contiene la teca cranica di una bionda/rossa/bruna dalla sua taglia di reggiseno.
Ma intanto ci si parlava parecchio.
E Pablo ci sapeva un sacco fare con le parole e gli insegnava sempre come fare, trucchi e storie nuove, perché era un amico, un gran amico con cui fare bei bisniss…
E poi ci guadagnavano tutti in fondo, chi in un verso chi nell’altro, cliente e fornitore, in pacche sulla schiena in strada e tante circospette risate, in salute i ragazzi e in ricchezza lui (“in miseria e malattia” è un’altra storia, roba di confetti e avvocati, si chiama  Mission Impossibile credo).
E ci guadagnavano pure i locali notturni, che attiravano tanta bella gente così allegra, che scalzava i tipi loschi dal quartiere.
E ci ingrassava pure la Municipale con le multe la mattina dopo.
Fico, no?
Solo i netturbini c’avevano un po’ le palle girate.
Ma tutto nella vita non si può avere.
Pablito e Caterina si erano incontrati la prima volta una sera qualsiasi del cazzo in giro per aperitivi nei bar nella città vecchia.  Quella volta il destino li aveva invitati entrambi a cenare a sbafo con gli stuzzichini di un paio di giri di nero d’avola al Corat.
Bastò loro uno sguardo, appoggiati a un bancone più consumato da racconti di lacrime, alcolici pentimenti e propositi di nuove diete della panca in ultima fila a destra nella chiesa millenaria poco più avanti.
Era quello infatti un vicolo dove baristi e parroco si spartivano civilmente e a fasce orarie alterne il traffico umano di sgomento e redenzione di calorose brave ragazze mezze nude e pie donne a forma di fagotto, loquaci giovanotti abbronzati col bicchiere di plastica incollato alle mani e concentratissimi mariti domenicali alle prese con dannati passeggini pieghevoli (dando così questi ultimi infine un senso a tormentate memorie infantili di transformer,  meccano e micidiali cubi di rubric, e un croccante perché al lavoro notturno dei netturbini incazzati di prima, i primi)
Galeotto fu un tocchetto di pomodoro bastardo che sfuggendo l’attacco del morso femminile precipitò dalla tartina per andare a rimbalzare sulla stoffa della maglietta bianca presumibilmente rubata a una dodicenne sottopeso tesa sulla tetta destra di lei, sguazzando poi rovinosamente in mezzo alla mini-Rich, e scivolando via in attesa di far altri  viscidi danni sul pavimento per la gioia di esimi ortopedici e dei loro commercialisti, e poi dicono che l’alcool fa male.
 E soprattutto galeotta fu l’attenzione con cui Pablo seguì il viaggio dell’invidiato pezzo d’ortaggio (n.d.a - la patata è un tubero) e poi la tempestività con cui porse alla malcapitata lorda un tovagliolo fregato al vicino.distratto da altre amichevoli grazie femminili.
Notoriamente “visivo” come ogni uomo, il nostro campione ipnotizzato tralasciò di udire l’immancabile finezza della preghiera di ogni femmina che si è appena macchiata. (le varianti da “porca putt..” a “accidenti” dipendono abitualmente dalla distanza in termini temporali dall’ultimo atto sessuale soddisfacente, dal programma per la serata e forse anche un po’ dall’estrazione socio-culturale)
E così, banalmente, tra una donna guardata per bene ma non ascoltata e il sacrificio di un eroico quadratino di carta (il sogno erotico segreto di ogni alberello amazzonico) prendeva il via la vera scintillante storia del generoso giovane che rubava ai ricchi e della sua inseparabile compiacente fata piccolina, che la polverina magica la spargeva, la spargeva eccome…  qualcosa però finiva nel naso purtroppo...e lei iniziò a prendersi un po’ troppo sul serio con la questione del voler volare….
Poi qualche ragazzino ricco prese un po’ troppo sul serio la questione “amicizia”.
E Pablito e LaCate non si videro più tanto in giro per bar.
Credo che lui sia finito poi ai domiciliari, lei per il dolore è andata a vivere in Sud America da un certo cugino sfigato surfista che ha un baretto sulla spiaggia, fa la modella, per arrotondare, ma lo aspetta fiduciosa per vivere insieme felici e contenti.
La morale non c’è, ovviamente, come in tutte le storie del nostro millennio.
Ma meglio uscire con i fazzoletti di carta.
Magari ci sarà un Pablo Hood per ognuna di noi che si sbrodola come una porchetta,  ma di sicuro non ci sarà quasi mai una contessa prima di te al bagno.

archivio

en appi niù ieah (c'è dei pezzi bellissimi dentro)
capodanno 2007 rimarrà a lungo nel cuore  e memoria balorda di questa  testarda signora.
un pò per la consapevole ostinata mia scelta di eremitaggio con fido quadrupede da caccia terrorizzato dai mortaretti in località semi-montana e in concomitanza di bastardissima eccezzionale ondata di siccitoso caldo natalizio. Pervicace e impopolare intendimento perseguito  sequestrando  gentile e compiacente proprietaria di tana-appartamento che a forza di scuoter la testa o trascinarsi appresso per 4 giorni 2 palle quadrate si è fatta venire mal di schiena... 
e un pò perchè verso le 2 antimeridiane del 1° gennaio mentre l'indomita Nicole in bustino e piume di struzzo fomentata dal genio di Baz Luhrman gorgheggiava tisica  (!!!?) che "the show must go on"  io prendevo la coraggiosa decisione di correre incontro al  mio primo abbraccio del nuovo anno, oltre la porta in fondo al corridoio .
non so se ringraziare le abbondanti  e saporite libagioni piemontesi, le ripetute alzate di calice di ogni colore o certe profonde aromatiche boccate ormai legali a guardar le stelle senza giacca.
beh.. fatto sta che erano anni che non la rendevo così.
e lì in ginocchio con occhietti lucidi e piccolini come fori di pipì nella neve, preventivando la ben meritata astensione da punitive sessioni di bike  e lat machine per almeno 2 giorni a venire, anzi, anche 3,  mi  sono trovata a filosofeggiare sui miei passati e futuri guai e prossime fulgide imprese,  palpeggiando avida un rotolone regina con la mano destra e smadonnando sul tariffario di una manicure decente.
e conteggiavo alla fine chiaramente almeno 30 dei 65 euri del cenone tra  risotto di zucca , tocchetti di cinghiale, patate, spinaci  e datteri  a galla nel dolcetto in fondo al water,  quando una straordinaria sensazione di liberazione e  benessere   mi  ha raggiunto da dietro.
(salvo poi ispezionarmi una guancia con linguone sugoso impanato eukanuba, natura crudele,  certi cani non hanno pietà per i moribondi..)
ma perchè dico io, perchè noi non si può  fare lo stesso con la vita, vomitare e dimenticarsi le parti (e le persone) dal sapore più amaro?
comunque mi sembra proprio che le lenticchie mi siano rimaste dentro.
e meno male,  che mi servono i soldi per andare in Brasile quest'anno.

archivio

natale di speranza
Verso la fine del dodicesimo mese del calendario dei paesi occidentali la consuetudine prevede che l’essere umano femmina non accoppiato sopravvissuto all’inutile  regime ipocalorico di maggio-giugno, le prolungate deleterie esposizioni ai raggi uva di luglio e agli incredibili saldi di qualsiasi negozio di necessari ennesimi sandaletti spaccacaviglia ferragostiani, debba superare la prova più dura, gravandosi ulteriormente di pesanti gabelle di natura economica e psicologica, peggio ancora dell’offensivo rito epatico dell’aperitivo di compleanno dopo gli –enta...         
Accade infatti che ai piedi metallici di un abete domestico, il cui scopo principe sembra essere l’ininterrotto spargimento di brillantini, roba verde e polvere, ricovero per lancinanti lucine-strobo con conseguente semplice aggravio del consumo bimestrale di chilowatt e antistaminici, si convoglino in realtà i desideri, gli sforzi e i risultati di 360 giornate di lavoro, affetti e buon occhio per le taglie, una sorta di bilancio, esame, oroscopo e lista dei buoni propositi.
Ci fu l’anno del Bagnoschiuma, quando ci si ripromise di prenderci più cura di noi stessi.Seguito da quello dell’Antirughe, con sorrisi smaglianti e occhiate di torvo sospetto.Poi quello delle Sciarpe&Guanti, o la variante Calze&Collant, in seguito ad una inusitata rigidità climatica novembrina.Quello dei Libri, investimento culturale sicuro (forse fin troppo: 3 Litizzetto??)
O quello dell’apertura in città di H&M, che si tornò tutte ragazzine.    
Quest'anno sotto l’infiammabile totem di aghi sintetici, coraggiose piccole luci made in china mi han covato isteriche  e instancabili per venti giorni grandi soddisfazioni:  un flacone di chanel n.5, roba da dipendenza olfattiva,  mezza dozzina di perizomi assortiti per colore e microscopicità, un paio di calzettoni, un paio di libri di ricette e calendari, nonché ambito, seppur destinato a restare sigillato a tempo indeterminato, birichino gingillo Durex che fa tanto parlare.. (ma agire?)
e finalmente favoloso notebook!
Allora vieni pure avanti 2oo7….

archivio

customer care
natale nell'aria.
il  macellaio dallo strano sorriso mi ha regalato un torrone ricoperto,  30 cm di dolcezza.
eh?
ma no, no...
anche la vecchina dai capelli turchini a fianco che si allunga sulla vetrina degli insaccati stringe avida il suo, di cilindro spaccadenti.
io devo andarci piano con la fantasia e il pollo arrosto.

archivio

progresso positivo?
si fa un gran cinguettare tra noi ragazze di questo nuovo anellino durex.
ancora una volta l'artigianato creativo e il lavoro manuale schiacciato dalle multinazionali...

archivio

sssssh!
hr. 11.45 ufficio postale di piazza modena.
un vitale vecchietto partenopeo si gioca il suo round di boxe francese con l'impiegato delle inesitate,
che resiste alla grande, ottima preparazione atletica, non c'è che dire.
uno speziato gregge di prosperosi davanzali (e rotondi didietri) e treccine dall'ebano al rame fa il tifo.
una coppia di fantasiosi e pazienti manovali di  Bar cerca di capire come si monta il paccocelere.
una bambolina orientale tiene onorevolmente impegnate le altre 3 più linguacciute che sagaci impiegate allo sportello a fianco nella soluzione del suo personale piccolo giallo (.....ooops).
qualcosa disturba il mio viaggio preventivato di almeno 20 min di incantevole ficcanasite.
una voce,  un telefono,  ghermito da arto manicurato opalescente,  polso tintinnante, braccio anoressico,  spalla con  tracolla da mille euri sfiorata a scatti da innaturale caschetto biondo, e poi  tutto il peso di questo povero  mondo, della suocera noiosa, del gommista indolente, dell'estetista impegnatissima e della baby sitter distratta, tutto sulla sua fragile schiena.

a certa gente il botulino dovrebbero iniettarlo sotto la lingua.

archivio


a christmas carol
stamattina l'oroscopo era positivo, luna in cancro.
la miglior presa per il culo per una che è  mordace, a prescindere, fino al terzo caffè.
la doccia è troppo bagnata, la crema è troppo unta, la maglia mi punge le braccia  e  poi  piove pure.
la mia ka è dal carrozziere.
che mi ha cortesemente prestato una 127 super dell'82, color carta-zucchero.
la ragazza fa del suo meglio, ma si capisce che le hanno dato una bella ripassata in tanti.
non parte, non frena, non tiene la strada, non fa la musica.
solo un pò di ruggine e tanto fumo.
ma stamattina  ha deciso anche di farmi uno scherzo.
dietro al 34  io penso a niente (niente di buono), lei tranquilla borbotta sputacchia, il cane serafico scoreggia sul sedile  dietro.
riparte il bus,  il piede affonda, scivola,  sinistro silenzio e  girandola di lucine rosse, gingo-bels.. gingo-bels... oh-ho... merricrissmass...
ma buon natale  un cazzo,  s'è spenta , e poi siamo solo al 6 dicembre .
così...
qui????
parti ti prego.
ti prego ti prego tiprego...
l'atea maledetta.
epppartidddai!!!!
la stronza  d'annata.
che è sta puzza di benzina, mannaggia l'ho strozzata mannaggia a me.
il prossimo  che suona scendo e lo mordo.
scendo.
a braccia accosto al marciapiedi il cadavere ancora caldo della fiat ,  la  falsa magra blu.
sudo, come una facocera.
la maglia vince viaggio sola andata allo Staccapanni,  da domani.
voglio la pelle delle palle del carrozziere.
per farne una borsetta da sera.
rossa, bordata di pelo bianco (sintetico).
che non userò mai.
perchè non ho scarpe che ci stiano bene assieme.
intanto che aspetto che l'ingolfata si sgolfi la testa mi si piega in avanti,.
inizio a picchiare con ritmato trasporto la mia cassa cranica contro il volante.
esercizio di precisione... durissimo..
dall'anima scaturisce il tantra  femminile universale dell'insulto al mezzo meccanico.  
vomito al telefono il motivo dell' imprevisto slittamento delle mie infallibili previsioni di guado del traffico entro le 8.00 am.
e poi finisco di sudare e  pungere.
riparte!
...la carogna
arrivo con mezz'ora di ritardo, la fronte segnata da un curioso segno orizzontale.
un furgone fumante al bordo della strada sotto la Lanterna e il conducente visibilmente alterato che prende a calci il muro mi hanno rimesso in pace col mondo, per oggi.
e buon natale anche a lui.

archivio

le indifese giovani tigri e il dragone
sto in coda a una delle 3 casse aperte del supermercato.
nella  pausa pranzo gli addetti alle casse giustamente vanno a pranzo.
in compenso nell'orario di lavoro qualcuno dei loro solerti colleghi mi ha spostato i miei Vigorsolairactionsenzazucchero.
finalmente li trovo.
ma trovo pure gentile coppia di adolescenti orientali al mio posto in coda.
sospiro e scivolo nel mio secondo vizio femminile preferito,  impicciarmi del prossimo.
lei  è piatta come una spiaggia versiliana, ma io la battezzo lo stesso Fushiko, in onore del mio  primo cartone animato nipponico con le tette, per sarcastica rivincita del posto soffiatomi e solidarietà femminile...
lui è largo la metà di Fushiko ma dieci cm più alto. 
sarà  Actarus,  in moderna  apertura al sol levante amico e in tardivo onore delle mie dissipate romantiche certezze che  il bene vince sempre contro tutti, mostri aniba, ausiliari del traffico e dipendenti statali...   
si sorridono, vicini vicini, secchi secchi come canarini.
e pure comunicano tra di loro emettendo brevi suoni  da xilofono.
la virago (Laggianna) rivettata  alla sua cassa si scosta la frangia biondo Napoli con gesto stizzito dell' arto in crosta luccicante, sbuffa,  schiude l' infuocato e cuoriforme orifizio mandibolare  vomitandoci addosso  "questa cassa chiudeee, lei signòra (eh? Chi? io?) èll'ultimaaa".
Fushiko e Actarus si guardano smarriti. 
Laggianna afferra con gratuita cattiveria una affettosamente selezionata mezza dozzina di pomodorini inerti, li bippa con diligente pressione del palmo.
Fushiko non sorride più ,  i suoi sogni di una romantica ed esotica cena a due vacillano, anzi vanno rovinosamente a ruzzolare contro il bordo del bancone.
l'artiglio ungulato della robusta cassiera infierisce ora su di un indifeso vassoietto di  acini verdi e viola, ora  sulla fragile croccantezza della schiacciata alle olive, ora palpando con insistenza il prezioso cartoccio del banco rosticceria.
Fushiko lancia una silenziosa occhiata e non raccolta supplica  di intervento al suo Actarus.
(Tohgguarda: anche dall'altra pare del globo i maschietti vengono da Marte...)
ora è la volta del pacco blu di spaghettini cottura 8 min di farsi stritolare da questa  novella Scilla pluri-tesserata UIL-CISL-COBAS ...
Fushiko stringe le labbra a fessura, raccoglie ordinatamente la sua spesa e aspetta in silenzio.
Actarus ignaro e serafico allunga il rettangolo di plastica che apre tutte le porte e  infallibilmente ripristina con pavloviana precisione il sorriso tra le parti, anche tra gli occidentali più rudi...
Ma non funziona così con Laggianna.
Laggianna si smazza tuttti i giorni la meglio clientela, i traghetti per il nord Africa, il traffico pesante per le isole... Laggianna non si smuove manco ad agosto, con il condizionatore in panne e con le navi veloci per i poveri ricchi che affondano la Sardegna.
"Documento"
silenzio,  sbigottimento, italiani-brava-gente where are you?
"Documento - iù av è dochiumen?"
"Passport?"
una sigla sulla ricevuta, la  restituzione di carta visa e passaporto tronca lo scomodo e forzato rapporto occasionale tra i tre.
e probabilmente ora Actarus dovrà vedersela con una Fushiko  inspiegabilmente  nervosetta.
per fortuna io sto a dieta, oltre ai miei vigorsolsenzazucchero ho solo un pacco di infrangibili carote.
tiè Laggianna.
e tengo pure gli 8 centesimi.

archivio

la vendetta si gusta ghiacciata

divido felicemente con quadrupede fulvo adorato appartamento sul monte.
vi  si accede affrontando  "caratteristica e per amatori" scalinata in  mattoni.
un muro, per chi non apprezza il genere.
come se la mia già pericolosa passione per le altezze non potesse fermarsi ai  tacchi assassini  di sciagurati sandali e micidiali stivaletti.
diabolica femmina perseverante.
diabolica femmina rompiballe, con documentazione caldaia da visionare urgentemente.
“fatto, controllato, tutto regolare, a'ssignò glielo dissi già,  senza starmi a far venire fin quassù, una firmetta qui, grazie'n'giorno"
dalla contentezza di sapermi idonea ad affrontare l'ennesima perquisa che l'inesorabile e tiranna amministrazione comunale  minaccia a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno, ho persino offerto al solerte tecnico  un rinfrescante bicchiere d'acqua.
e pure gasata.
temo non abbia colto la gentilezza, si vede che dalle sue parti i cestini di san benedetto compaiono addizionati di anidride carbonica (si lo so, ma a me piace così) direttamente in frigo.
oh beh.. chissà che all'assetato omino tondolotto e un pò sudato non gli sia venuto un accidente..
che l'era davvero freddina...

archivio

il male necessario o il male minore
o semplicemente una favolosa emicrania.
di quelle che ti sequestrano un lato del cervello (il sinistro oggi)
e mentre il   resto del mondo cerca proprio me al telefono oggi , insulto di cuore quella sporca dozzina di miei neurotrasmettitori refrattari all'aulin e  identifico anche inaspettato molestissimo contatto tra fidato sandalo e minuscola abrasione al mignolino .
colpa mia.
di un sabato spericolato a sgambettare su ben più arditi e vendicativi trampoli dorati.
e di una domenica pomeriggio scivolata pigra a pensare, rispondersi, rassegnarsi e poi ricominciare daccapo, stessa domanda, stessa risposta.
ma se dal male fisico soffio un  lamento legittimo del lunedì, dal rispetto per l'altrui timpano e sopportazione   scaturisce questo mio piccolo blog.
e allora forse è vero che non tutti i mali vengono per nuocere.
ma un cerottino me lo vado a cercare lo stesso.

trasloco

altrogiroaltroblog